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Roma, 10 febbraio 2024 – Cavi sottomarini nel mirino? Gli esperti si interrogano su un rischio che non è legato solo a come potrebbero evolvere gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso. Ma come stanno davvero le cose? Abbiamo rivolto 5 domande a Maurizio Mensi, professore di Diritto dell’economia alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
“Certamente, lo sappiamo da anni. I dati possono essere estratti dai cavi sottomarini senza manometterli o distruggerli, sia con l’inserimento di backdoor durante il loro processo di produzione sia nei siti dove i cavi si collegano alle reti terrestri. Possono anche essere intercettati in mare, anche se questa è un’operazione tecnicamente più complessa. Si teme che per esempio le navi russe Yantar, classificate come navi di ricerca oceanografiche, dispongano di tale capacità. Ecco perché difendere la rete di cavi sottomarini non significa solo prevenire l’attacco fisico ma soprattutto proteggere i dati che vi transitano. Ad oggi, i contenuti sensibili che viaggiano lungo i cavi sono per lo più protetti dalla crittografia ma anche il solo accesso ai metadati, a prescindere dalle informazioni veicolate, può risultare appetibile”.
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“La protezione dei dati è una questione di sicurezza marittima, informatica, governance degli oceani e politiche infrastrutturali. Dipende dall’applicazione della legge marittima e dalla sorveglianza nelle zone costiere. In mare aperto, i cavi sottomarini dipendono dalla protezione militare, che è peraltro molto difficile perché nessuna flotta potrebbe sorvegliare l’intera rete dei cavi, data la notevole estensione dell’area geografica interessata. Si può cercare di prevenire attacchi mediante la sorveglianza di superficie delle attività marittime civili e l’identificazione di comportamenti anomali. Le profondità marine offrono peraltro protezione dal sabotaggio e rendono complesse le riparazioni in caso di rottura dei cavi, che in media dura più di due settimane. I cavi di solito si trovano infatti in zone difficili da raggiungere. E questa inaccessibilità li protegge”.
“Nelle acque costiere e poco profonde, la posizione dei cavi è solitamente disponibile al pubblico per prevenire incidenti durante l’ancoraggio e il dragaggio. Ècontrassegnata sulle carte nautiche per renderli visibili agli utenti marittimi. Al contrario, in alto mare non sono pubblicate le loro posizioni precise e quindi i cavi sono molto più difficili da localizzare. Nelle cosiddette “stazioni di atterraggio”, che ospitano server, tecnologie di instradamento e commutazione che forniscono il ponte verso la rete terrestre, termina il traffico della rete sottomarina e avviene il collegamento con la rete terrestre dell’operatore locale. Tali stazioni tendono ad essere vicine alla costa e sono spesso collocate presso reti elettriche sottomarine o altre infrastrutture critiche. Sono per lo più protette fisicamente da recinzioni o filo spinato e da apparecchiature di sorveglianza remota, come telecamere e sensori. Le posizioni precise delle stazioni di atterraggio non sono di pubblico dominio, sebbene esistano mappe indicative che potenzialmente ne rendono facile l’identificazione. Peraltro la maggior parte dei recenti sistemi via cavo dispone di funzionalità di sorveglianza integrate”.
“L’area più intensamente sfruttata è lo stretto di Malacca, ove corrono più di una dozzina di cavi che collegano gran parte del traffico tra Asia, India, Medio Oriente ed Europa. Altri punti delicati sono lo stretto di Luzon (tra Taiwan e le Filippine) e il Mar Rosso. A livello globale, alcuni punti di strozzatura marittimi si distinguono per l’elevata densità di cavi e traffico marittimo. Per l’UE è importante lo Stretto di Gibilterra, tra il Marocco e la penisola iberica”.
“Si tratta per lo più di beni privati, piuttosto costosi, in prevalenza di proprietà di consorzi di imprese di telecomunicazioni, che si associano fra loro per sostenere le spese. A differenza di 20 anni fa, quando la maggior parte dei cavi è stata costruita da privati che cercavano di rivendere capacità di banda a fini speculativi, gli investimenti odierni sono guidati dalle grandi società del web come Google, Facebook, Microsoft e Amazon. Questi hanno aumentato di molto gli investimenti a partire dal 2016 e oggi sono proprietari o utilizzatori di più della metà della capacità dei cavi sottomarini”.
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